Giuseppe Sarto: una santità vissuta giorno per giorno, anche a Salzano

Per noi cristiani, e per le genti venete, il ritorno delle spoglie mortali di san Pio X è un evento importante, per il legame tra questo grande Pastore e la sua terra natale e per tutto quello che questo Pontefice rappresenta per la Chiesa di oggi: per i più accorti conoscitori della sua storia, un vero e grande riformatore della Chiesa, per i fanatici nostalgici del passato un papa tradizionalista.

Noi, a Salzano, ci sentiamo particolarmente legati a san Pio X, al parroco don Giuseppe Sarto, che fu guida per ben nove anni di questa comunità. Forse a qualcuno dispiacerà che la Peregrinatio corporis non abbia incluso la nostra parrocchia, ma è andata così!

Chissà che cosa pensava il patriarca di Venezia, cardinale Sarto, quando prima di partire per il conclave a Roma, pronunciò queste parole: “Da vivo o da morto, ritornerò!”? “Da vivo” significava evidentemente che, qualora non fosse stato eletto Papa, sarebbe ritornato alla sua diocesi per continuare il suo ministero episcopale. Ma ritornare “da morto” che senso poteva avere? Fino a quel tempo, nessun Papa “da morto” era ritornato nella diocesi da cui era partito. Pio X addirittura non uscì mai dalle mura leonine che circondano il colle Vaticano perché si sentiva “prigioniero” del Regno d’Italia… Non so neppure che cosa possa pensare oggi san Pio X, nella Gloria del Cielo, vedendo i suoi resti mortali in pellegrinaggio nelle nostre terre, lui che nel suo testamento diede queste disposizioni: “Ordino che la mia salma non sia toccata e imbalsamata. Per questo, contro le consuetudini, non potrà essere esposta che per poche ore, e poi tumulata nei sotterranei di S. Pietro in Vaticano”.

È stato molto commovente il suo “saluto” a Salzano alla fine del suo servizio come parroco. “Giuseppe Sarto, in un giorno d’autunno del 1875, prese la via di Treviso. Salzano, con i suoi contadini, le sue giornate nebbiose d’inverno e afose d’estate, gli era entrata nel cuore. Il commiato fu doloroso, come leggiamo in questa lettera: “Stamattina sono partito definitivamente da Salzano. Non vi descrivo il mio abbattimento per l’amaro distacco dopo una convivenza di otto anni. Sono venuto via stamattina due ore avanti il dì senza salutare nessuno e adesso mi sento maggiormente oppresso”. Ma nulla scolpisce l’animo del parroco Sarto, in quel momento di distacco dal suo mondo, meglio della frase – se è stata ripetuta esattamente – che scrisse ad un amico: “Piansi amaramente lasciando i miei parrocchiani, i miei scolaretti, i miei poveri e i miei fiori”. (G. Romanato, Pio X, Lindau 2014). Probabilmente c’era in lui il sentimento profondo che a Salzano non sarebbe più ritornato.

Nel recente pellegrinaggio in Cima Grappa, il 4 agosto scorso, l’illustre predicatore che ha tenuto l’omelia, ha detto queste parole: “Pio X è stato fatto santo per il suo pontificato”. Immagino che intendesse questo: che soprattutto negli anni in cui fu Papa, Giuseppe Sarto manifestò la solidità della sua dottrina e le virtù eroiche che per la Chiesa sono i segni della santità. Sicuramente papa Pio X è stato il “frutto” di un lungo cammino: tutto quello che ha vissuto, da Riese a Roma, ha contribuito a plasmarlo nella sua umanità, nella sua fede, nella sua pastoralità. Ma com’era don Giuseppe Sarto quand’era parroco qui a Salzano? Era già “santo” allora? Io me lo immagino come un prete “normale”: attento alla qualità delle celebrazioni liturgiche, generoso nella carità verso i poveri, dedito all’insegnamento del catechismo agli adulti come ai bambini, preoccupato dello sviluppo della sua gente, del lavoro delle donne, della scuola dei ragazzi, desideroso di vivere legami di amicizia e fraternità con gli altri preti. Credo che a quel tempo, nella nostra diocesi e altrove, ci fossero altri “don Giuseppe Sarto” come il nostro don Giuseppe Sarto. A quel tempo, ma anche prima e dopo di lui. Penso anche ai preti che hanno servito in questa parrocchia, il cui ricordo riconoscente e vivo è nel cuore di molti di noi.

La santità di Pio X, come la nostra santità, nasce dalla quotidianità della nostra vita, delle nostre relazioni, dalla trama dei legami della nostra comunità, dalla “normale” passione che abbiamo per le “cose di Dio” e l’amore dei fratelli.

Mons. Giulio Zanotto


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