In
Afghanistan a sostegno delle mamme e dei bambini
Mi chiamo Anita e
sono un’ostetrica. Lavoro nel Regno Unito dal 2016 e quest’anno ho intrapreso l’avventura
di andare in missione con Emergency in Afghanistan. Ho avuto la fortuna di
prendere parte a un progetto incredibile in un Paese che da moltissimi anni è
soggetto alla guerra e in cui la povertà e la miseria si avvertono anche nelle
piccole cose basilari che tutti noi diamo per scontate, come il diritto alla
sanità e il supporto alla salute materna e infantile.
L’ospedale si erge
nella Valle del Panshir, a nord est di Kabul. La Valle è uno dei rari luoghi
dell’Afghanistan in cui non si combatte. Tuttavia, la popolazione ancora oggi
soffre degli strascichi di un conflitto che continua a essere una realtà nel
resto del Paese.
Questo
progetto, nato nel 2003, è incredibilmente importante, non solo per la popolazione femminile
che ha supporto nella gravidanza, durante il parto e nei primi mesi di vita del
neonato; ma soprattutto per la possibilità che Emergency offre alle donne
afgane di lavorare e rendersi indipendenti, in una realtà che si presenta così difficile nei confronti delle donne. Presso
il Centro di maternità di Anabah, Emergency
offre assistenza ginecologica, ostetrica e neonatale e un servizio di
assistenza prenatale che permette di monitorare le gravidanze e curare
tempestivamente eventuali patologie.
Il mio
ruolo è quello di supervisionare, supportare e approfondire la pratica delle
ostetriche che lavorano già nell’ospedale, dirigere il loro lavoro e gestire le
emergenze ostetriche. I ritmi lavorativi sono abbastanza incalzanti, tuttavia
sto scoprendo sempre di più quanto sia importante e prezioso il rapporto che Emergency ha costruito in tanti anni di collaborazione con la
popolazione locale, quanto sia importante il nostro ruolo nel migliorare la
pratica di tutti i professionisti sanitari e la possibilità in un futuro di
renderli completamente indipendenti.
La
popolazione ha valori forti e profondamente radicati nella propria cultura, ma
apprezza le piccole cose: un gesto, un sorriso, una carezza in più. Dopo così
tanti anni di deprivazioni, sofferenze e povertà ogni piccola cosa che è
concessa è accolta come un regalo venuto da Dio; sono grati a noi per la possibilità
che gli si sta dando dal punto di vista lavorativo, ma soprattutto del supporto
e della protezione della sanità. Per questo, a costo di privarsi di qualcosa di
proprio, sono felici di donarlo, come gesto di gratitudine.
Noi “internazionali”
viviamo come in una bolla. Nonostante il duro lavoro abbiamo una casa, acqua
corrente e luce. Nonostante i ritmi lavorativi siano importanti, l’esperienza
che sto vivendo mi sta nutrendo come persona e come professionista in un modo
che non avrei mai pensato: fare una missione e prendere parte ad un progetto
così importante ti spinge a voler ogni
giorno dare sempre di più e migliorarti, non solo come professionista ma
soprattutto come essere umano. Per me, partire per l’Afghanistan è sempre stato
il sogno della mia vita e, nonostante le avversità di tutti i giorni, i ritmi,
mi sento una privilegiata a sentirmi parte di questo progetto e ad aver in
qualche modo contribuito alla sua realizzazione.
Chiunque
senta nel cuore il bisogno di dare di più per il prossimo, senza farsi
condizionare dalla religione o dalla cultura diversa, io dico: fatelo! non
abbiate paura di inseguire i vostri sogni, nonostante possano portarvi lontani
dalle persone e dai luoghi che amate. A volte serve perdersi per ritrovarsi.
Con affetto,
Anita Grandesso
Sono cresciuta e
cambiata, ho allargato i miei orizzonti
Sono Susanna, e desidero raccontare una magnifica
esperienza, da poco terminata. Il 23 agosto 2018 mi trovavo a Roma per prendere
un aereo con destinazione Buenos Aires, pronta per iniziare una grande
avventura. Sono partita, piena di dubbi, perplessità, ansie e paure per vivere
l’anno della quarta superiore in Argentina più precisamente a Quemù-Quemù: un
piccolo paesino nel mezzo della Pampa, circondato da campi destinati all’
agricoltura e all’ allevamento, dove la città più vicina dista 50 km e dove
tutti in paese, essendo solo 5 mila, si conoscono e date le distanze non sono
abituati a spostarsi. A differenza di come potremmo immaginare, nella Pampa
esiste la televisione, Internet e non ci si sposta tutto il tempo a cavallo o
non si mangia sempre carne di vacca. Sono stereotipi e convinzioni che sento
essere molto diffusi. Da li poi ho avuto modo di conoscere realtà diverse dal paesino
rurale, ho frequentato le piccole cittadine della Pampa e ho visitato la grande
metropoli di Buenos Aires.
Ho frequentato la scuola superiore locale. Una realtà molto
diversa da ciò che sono abituata a vivere qui, presso il mio Liceo a Mirano. Il mio arrivo è stato una grande novità, dato
che lì, prima di allora, nessuno aveva vissuto un’esperienza del genere. Sono
stata così accolta con grande affetto ed entusiasmo e ho avuto la fortuna di
riuscire ad integrarmi velocemente e stringere amicizie con i miei compagni di
classe. Le persone sono molto aperte, amichevoli e affettuose, il che all’inizio
mi ha senza dubbio aiutata.
In Argentina, la terra del Papa, da un punto di vista
religioso non è solo diffusa la confessione cattolica ma anche quella
protestante, ma le persone praticanti sono poche. A Quemù- Quemù, nonostante le
dimensioni ridotte del paese, sono presenti ben quattro piccole comunità
evangeliche ed una cattolica. In
generale, sono molto sentite e celebrate le feste nazionali, mentre quelle
religiose hanno un peso meno importante. In Argentina la Chiesa influenza
abbastanza la politica. Infatti alcuni tra i temi più caldi del momento
riguardano la separazione dello Stato dalla Chiesa o la legalizzazione
dell’aborto. Giovani e adulti, cristiani o meno, attraverso marce e proteste
esprimono continuamente la loro posizione.
A 16 anni è spiazzante essere catapultati da soli in un Paese diverso, sconosciuto, dove parlano un’altra lingua, hanno tradizioni, orari e abitudini diverse e le novità sono all’ordine del giorno. Vivere in una famiglia sconosciuta, con altre abitudini, punti di vista non è sempre facile. Può essere complicato capirsi e riuscire a vivere assieme, condividendo il tempo e gli spazi. Non ci sono mamma e papà per aiutarti sempre e starti vicino nelle situazioni critiche e nei momenti di tristezza.
Nonostante tutto, rivivrei la mia esperienza così com’è stata. I momenti belli e significativi sono sempre stati più numerosi di quelli difficili: ho conosciuto persone fantastiche e ho condiviso momenti che ricorderò per sempre. Le difficoltà hanno portano sempre a qualcosa di bello. Nel bene nel male, sono cresciuta e cambiata, ho allargato i miei orizzonti, ho imparato ad avere più fiducia in me, a vedere la realtà e la mia vita da un’altra prospettiva. Ho conosciuto l’Argentina fino in fondo e non solo superficialmente come farebbe un turista.
Il mio consiglio per tutti i giovani che ne avranno
l’opportunità, è quello di vivere un’esperienza come la mia, partire, conoscere
e più in generale essere curiosi e uscire dalla propria “comfort zone”. Perché
oltre ad essere motivo di crescita personale, è un’occasione per vivere
esperienze che altrimenti non si vivrebbero mai, si acquisisce una visone più
globale, meno eurocentrica, si sperimenta che esistono più punti di vista, si
assimilano valori di tolleranza e rispetto indispensabili per un mondo più
giusto ed equo.
Con affetto,
Susanna Trevisanello
Gli
argentini mi hanno insegnato l’accoglienza
Quando mi hanno detto, a febbraio del 2018,
che avevo vinto una borsa di studio per studiare un anno all’estero non ci
credevo. Mi sembrava una cosa troppo assurda perché potesse capitare proprio a
me… eppure è stato così: il 23 agosto 2018 sono partita insieme ad altri 125
ragazzi verso l’Argentina.
Di questo bellissimo paese sapevo poco o
niente e ancora adesso, dopo averci vissuto per un intero anno e averlo in
parte visitato, sento che ho ancora tanto da scoprire.
Sono partita e mi sono portata dietro tante
paure, tanti dubbi, tanti desideri e tante speranze… che non sono state
soddisfatte, perché la realtà è stata molto più di quello che io immaginassi.
A Resistencia, Chaco (nel nord
dell’Argentina) ho trovato una seconda casa e in Walter, Maria Ines, Abril e
Lautaro una seconda famiglia. Un luogo, ma soprattutto delle persone che hanno
saputo farmi spazio e che hanno voluto lavorare con me sulle difficoltà
culturali.
Eh si, ci sono state anche quelle e non sono
state poche: la lingua in primis, poi gli orari, le abitudini giornaliere, il
cibo, le tradizioni, la musica, perfino l’abbigliamento erano diversi. E se
questo all’inizio spaventa, poi diventa uno stimolo… non dimenticherò mai,
per esempio, le risate con mia sorella ospitante quando nel bel mezzo di un
discorso profondo sbagliavo un verbo e toglievo ogni serietà al mio monologo.
Ho imparato che le difficoltà sono tali solo
finché le si vive così… anche se comunque durante i primi mesi mi è sembrato
di vivere sulle montagne russe, in un continuo alternarsi di alti e bassi.
Poi piano piano, attraverso la scuola, la
famiglia e gli amici, sono entrata in quella cultura che mi era apparsa così
estranea e che invece adesso è anche un po’ la mia… gli argentini sono
persone solari, aperte, affettuose e disponibili che mi hanno insegnato
l’accoglienza.
Pensare che un Paese con una così difficile situazione economica; che una città come Resistencia (capoluogo della quarta regione più povera dello Stato) mi abbiano dato così tanto è incredibile, eppure è così: meno hanno da offrire e più te lo offrono di cuore. Tante cose sono così diverse che potrei scriverci un libro ma la magia dell’Argentina sta nella “buena onda”, nel loro vivere la vita come se fosse una festa. Ed è proprio questo quello che mi sono riportata a casa quando sono rientrata, ormai già due mesi fa: la festa che loro vivono tutti i giorni. Festa che sta nelle piccole cose, nel passare del tempo insieme (pranzando, cenando e facendo merenda in famiglia o con gli amici), nel dedicarsi a se stessi coltivando le proprie passioni… ma anche e soprattutto nel fermarsi qualche minuto ad osservare un tramonto, guardare la pioggia.
Ho scoperto andando via quanto sia bella la
mia Italia, quanto ho da imparare dagli altri… ogni cosa vissuta mi ha
apportato qualcosa che mi ha fatta maturare: non cambierei una virgola di
questa esperienza.
Grazie all’anno all’estero ho potuto avere
un altro punto di vista della vita; del mondo; mi sono potuta confrontare con
un’altra scala di valori; ho aperto la moltissimo la mente e allargato gli
orizzonti, stringendo forti amicizie non solo in Argentina ma anche con altri
ragazzi da altre parti del mondo (Emma dal Portogallo, Isabella e Hellen dagli
Usa, Victor dalla Germania) e da altre parti di Italia (Carlotta da Bologna,
Tommaso da Ferrara).
Ritengo che un’esperienza simile abbia un
valore enorme, non tanto per il periodo di studi in un altro paese, ma per le
possibilità di apertura mentale e confronto con altre persone e altre culture
che può offrire… uscire dalla propria “comfort zone” può essere impegnativo
ma ciò che si guadagna non ha prezzo,
non ci si può lasciar bloccare dalla paura di fronte a determinate opportunità…
dobbiamo coglierle, chissà cosa ci aspetta là fuori.
Con affetto,
Silvia Carraro
L’IMPORTANZA DI INSEGUIRE I PROPRI SOGNI
Il 25
novembre 2017: la MIA data, la data in cui ho preso un aereo e sono volata al
di là dell’oceano a rendere reale il mio piccolo grande sogno, il primo giorno
in cui ho messo piede negli Stati Uniti!
Ciao a
tutti! Sono Veronica Dal Corso, ho 27 anni, vengo da Salzano, ed attualmente
vivo e lavoro a Philadelphia (Pennsylvania), la sesta città più famosa degli
Stati Uniti! A luglio 2017 ho conseguito la laurea magistrale in Ingegneria
Aeronautica presso La Sapienza di Roma, e poco dopo ho iniziato a lavorare per
Bhai Tech un’azienda padovana di Formula 4, fino a quando, ad ottobre dello
stesso anno, ho ricevuto la chiamata da un numero americano a me sconosciuto
fino a quel momento; da cui, dopo una serie di colloqui, ho ricevuto una
proposta di lavoro inaspettata ma anche tanto desiderata! Ed eccomi qui ora a
raccontarvi la mia esperienza! Lavoro come Structural Design Engineer in AWPC
(Agusta Westland Philadelphia Corporation). Per chi non conoscesse l’azienda,
Agusta Westland è un’azienda aeronautica del gruppo Leonardo dove vengono
sviluppati e prodotti elicotteri, in particolare il mio ruolo consiste nello
sviluppo di parti strutturali per due linee di prodotto (elicotteri AW139 e
AW119).
Passare
dalla piccola Salzano ad una città così grande e a me sconosciuta come
Philadelphia, non lo nego, non è stato facile! Con i suoi quasi 2 milioni di
abitanti, Philadelphia, o meglio Philly, come viene più spesso chiamata, è un
mix di culture e religioni, le quali ti insegnano a scoprire ed apprezzare le
mille sfaccettature che la diversità comporta! Qui a Philly è presente una
grande comunità di cristiani cattolici, la città è stata inoltre sede nel
settembre 2015 della visita di Papa Francesco durante il suo Viaggio
apostolico.
Philly
è anche la città di Rocky (la statua, le scalinate, il ristorante: si trovano
tutti qui a Philly), è la città della Liberty Bell, della Cheesesteak e dei
molti musei (storici, scientifici e d’arte). L’influenza europea la porta
comunque, a differenza di New York, ad essere una città meno caotica e a misura
d’uomo.
Una
volta approdata negli States, ho dovuto fin da subito darmi da fare, non solo
lavorativamente parlando! Ho dovuto rifare la patente, obbligatoria qui se si
vuole comprare un’auto. L’inglese studiato per molti anni a scuola e mantenuto
durante i viaggi in Europa è stato totalmente messo in discussione con il più
comune americano (che credetemi risulta per certe parole totalmente diverso!).
E ovviamente ho dovuto farmi carico di tutte le responsabilità che conseguono
con l’andare a vivere da soli! Ho trovato però anche una calorosa famiglia
composta da colleghi di lavoro (alcuni dei quali anch’essi italiani) ed
amicizie nate e consolidate negli Starbucks in giro per la città.
Ai ragazzi della
nostra comunità dico: “Follow your dreams and fight for what you believe in”.
Dico
loro di non fermarsi davanti al primo ostacolo, di non aver paura! Perché è
proprio la paura l’ostacolo più grande, che ci porta ad inventare scuse. Molto
spesso il sogno viene visto come qualcosa di irraggiungibile e allora lo si
lascia lì, nascosto in un cassetto, per paura di non essere in grado di
affrontarlo.
E poi
ci sono quelli che ti diranno sempre che “non ce la farai mai”, perché queste
persone purtroppo esisteranno sempre, perché sono le prime che non ci hanno mai
provato…
Ma
fortunatamente, ci sono anche quelle persone che invece ti diranno che
puoi fare tutto e sono le persone più belle, quelle che ti capiscono,
quelle che ti dicono che la forza per fare tutto ce l’hai, quelle che ti danno
la spinta per intraprendere un lungo viaggio, per buttarti sul lavoro dei tuoi
sogni, per trasferirsi in una città a migliaia di chilometri da te, perché è
quello che vuoi. Un grazie particolare va alla mia famiglia per avermi sempre
spronata a dare il meglio di me e per avermi supportata sempre in tutte le mie
scelte!
Con affetto,
Veronica Dal Corso
UN’ESPERIENZA ACCANTO ALLE PERSONE IN DIFFICOLTÀ
Ciao a tutti! Vengo da Salzano e da Febbraio 2017 vivo con la “Comunità Cavanis Gesù Buon Pastore”, in Papua Nuova Guinea. Probabilmente era da un po’ di tempo che pensavo di visitare una missione, ma quando si è presentata l’occasione di incontrare qualcuno di loro in Italia, è stato il momento di partire. La Papua Nuova Guinea è un’isola del pacifico che si trova poco al di sopra dell’ Australia, ed è una terra ricchissima, dove la vegetazione non smette mai di crescere durante tutto l’ anno, offrendo frutti di tutti i tipi. Nonostante questa abbondanza di risorse naturali in territori sconfinati, la popolazione non ha avuto praticamente nessuno sviluppo. Generalmente le persone qui vivono in villaggi sparsi nella foresta, ed abitano in palafitte di Bamboo, rialzate da terra per sfuggire agli allagamenti della stagione delle piogge. E’ un paese molto giovane e la fede cattolica è stata conosciuta solo 130 anni fa.
La popolazione si dice Cristiana anche se è ancora molto diffusa una religione di tipo animista e figure come quella dello stregone sono ancora molto presenti nei villaggi. A Bereina, piccolo centro situato a tre ore dalla capitale, nel 2013 sono arrivate le “sisters”: inizialmente un gruppo di 7 donne consacrate che hanno deciso di mettere la loro vita a servizio di bambini e giovani del posto. Da subito un gruppo di ragazzi locali ha sentito la necessità di proteggerle, avvicinandosi così a loro e creando un rapporto di aiuto reciproco che continua ancora. Nel frattempo la comunità è cresciuta: sono arrivate le postulanti e le novizie e anche la famiglia di Matteo e Manuela con i loro tre figli, allargando così gli orizzonti di questa congregazione.
Io e Matteo ormai siamo coppia fissa nel lavoro quotidiano con i ragazzi, i quali stanno apprendendo molte competenze: nel costruire case con impianti elettrico e idraulico, di falegnameria e di meccanica. Inoltre, essere impegnati durante la settimana, aiuta loro a stare lontani da alcool e droga.
Penso che vivere in comunità sia una bella opportunità, perché si è sempre in relazione con altre persone, anche nelle difficoltà, cosa che invita ognuno a mettersi in discussione per poter migliorare i propri atteggiamenti. Ai giovani di Salzano, e non solo, direi di concedersi, almeno una volta nella propria vita, un’esperienza di volontariato con persone in difficoltà, perché penso possa far nascere qualcosa di utile, qualsiasi sarà la vostra scelta in futuro.
Con affetto,
Riccardo Tosetto
Concedetevi un’esperienza di volontariato con le
persone “ai margini”.
PARTIRE PER SCOPRIRSI FRATELLI NELLA SOFFERENZA E NELLA GIOIA
La vita ci chiama, tutti, a fare
scelte di coraggio, scelte di responsabilità. Talvolta ci chiede di fermarci: a
riflettere, a tendere la mano al fratello o alla sorella accanto; e perché no,
di riposarci. Talvolta ci invita al contrario a partire, lasciando i porti
sicuri per andare verso sfide per nulla facili da definire, con la fatica di
dover ricominciando spesso da capo.
Il mio nome è Stefano Meneghello, sono
un giovane di 26 anni della nostra comunità di Salzano, al momento in Libano,
nella città di Zahle più precisamente, nella valle della Bequaa, prossimo al
confine con la Siria. Un esperienza iniziata a fine del mese di ottobre scorso
con l’ONG Medici Senza Frontiere e dettata da un desiderio di voglia di
giustizia, di uguaglianza e dal bisogno di assumersi responsabilità di fronte
al nostro mondo. Lo stesso desiderio che mi portò in Ciad nell’ottobre di tre
anni fa come volontario nella missione della nostra diocesi di Treviso.
Fare parte di una comunità del resto
riengo sia strettamente legata a questo sentimento di responsabilità.
L’espressione stessa, comunità, deriva dal latino communitas, parola
composta da cum e munus: dove munus sta a significare
un’unione, ma è il cum che rende la relazione comunitaria come un
“dare-darsi” e quindi ne riconduce il senso alla reciprocità dell’obbligo
donativo.
Reciprocità che per questioni di comodo si tende troppo spesso a dimenticare, sempre pronti a pretendere dalla comunità qualcosa e allo stesso tempo pronti a presentare scuse nel momento in cui è la comunità stessa a chiamare. Sian ben detto, tali difficoltà sono le medesime che si incontrano in Italia, così come in Ciad e in Libano. Nel Libano stesso infatti, dove il dialogo interreligioso è una delle caratteristiche di questa terra in cui Cristiani Maroniti, Mussulmani Sunniti Sciiti e Druzi convivono da generazioni, l’equilibrio politico e comunitario è una questione delicata. La diversità nella confessione infatti influenza fortemente la vita comunitaria, con barriere più o meno sottili che tuttavia è importante conoscere e rispettare.
Il viaggiare mi sta aiutando così a comprendere e definire meglio il bisogno e il senso di comunità, di darsi reciprocamente. Di partecipare alle gioie e alla sofferenza del nostro prossimo. Ovunque ci si trovi. Un sentimento di compassione che, nel suo senso autentico, è la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio. Ed è la testa di ponte per una comunione autentica non solo di sofferenza, ma anche – e soprattutto – di gioia vitale, e di entusiasmo. Che ti induce a partire ancora, trovando sempre nuove occasioni di incontri e di creare comunità.
Nostro dovere è il cercare la propria
strada con energia e coraggio. A costo di sbagliare. Anzi, ben venga lo sbaglio
come maestro per le nostre prossime scelte. Facendo delle scelte, talvolta con
quel giusto pizzico di sana follia. Bisogna aver il coraggio di uscire da
schemi pre-imposti, accettare di “andare controcorrente” e di sentirsi
stranieri ed estraniati.
Per riscoprire poi infine il sentimento di fratellanza che ci lega tutti, e ritrovare coraggio. Coraggio di essere felici.
Con affetto,
Stefano Meneghello
Abbiamo il coraggio di
uscire da schemi pre-imposti, di “andare controcorrente” e di sentirci
stranieri ed estraniati.
12Next
Page 1 of 2